[Ehi animalettə, nel post troverai un po’ di spoiler. Se ancora non hai giocato a non-binary, lo trovi gratuitamente qui.]
Buondì a tutt3. Oggi LazyFox e QueerWolf scriveranno a quattro mani zampette il terzo devlog, quello sulla parte di game design. Sei prontə per scoprire i grandi misteri di non-binary?
Primi passi
Abbiamo cominciato a pensare alle meccaniche di non-binary avendo chiara in testa l’esperienza che volevamo veicolare: il percorso di una persona non binaria che parte senza il lessico necessario per capirsi e definirsi, e arriva a vedere chi è veramente. Come raccontavamo settimana scorsa, il tema centrale del gioco è il linguaggio e il suo condizionare il modo in cui vediamo e comprendiamo il genere.
Iniziando a riflettere sulle meccaniche ci siamo sin da subito ripromessɜ di tenere uno sguardo fisso sull’usabilità e l’accessibilità.
non-binary si può giocare con una sola mano, destra o sinistra che sia (WASD+barra spaziatrice per la destra, frecce direzionali + invio per la sinistra). Le informazioni sono ribadite per quanto possibile da elementi diversi (es: forme e colori per le figure, tenendo conto di colori che dovrebbero favorire la riconoscibilità anche per buona parte delle persone daltoniche). Il font scelto è OpenDyslexic, per renderlo leggibile anche alle persone dislessiche.
Abbiamo cercato di non dar per scontato che lə giocatricə sia a conoscenza della mappatura standard dei tasti, mettendo un alert in caso di uso del mouse, e indicazioni grafiche per suggerire quali tasti usare a inizio gioco.
Già dopo quattro settimane ci siamo resɜ conto che ci sono tanti altri accorgimenti che avremmo potuto adottare (ad esempio permettere la ri-mappatura dei tasti). L’impegno è quello di migliorarci sempre, anche in questo (grazie anche alle cose che stiamo imparando attraverso la divulgazione di BLaST!)
Grandi scelte che non puoi compiere
La prima scelta di design che abbiamo fatto è nascosta a inizio gioco, e chi gioca può notarla solo facendo più run, o parlando con altrɜ giocatricɜ.
Qui fuori, il genere è qualcosa che non puoi scegliere, è qualcosa che subisci. Il gioco ti fa essere Pallino o Pallina in maniera randomica: ciò che ti verrà chiesto di essere, le regole che ti verranno appiccate addosso e le aspettative sociali sono fuori dal tuo controllo. Una non-scelta che racconta tante cose.
E parlando di scelte e non-scelte, queste sono state al centro delle meccaniche di narrazione.
Sostanzialmente ci sono tre tipi di interazione testuale e di relative meccaniche.
Le scelte espressive: sono quelle pensate per far sì che lə giocatricə possa esprimere sé stessə. Non impattano direttamente il gioco se non per una o due righe di testo ad hoc. Non creano bivi, non modificano i finali, però influenzano l’esperienza di chi gioca. In linea di massima abbiamo cercato di mantenere tre tipi di mood: una scelta diplomatica, una più assertiva, un evitamento della scelta. È un “in linea di massima” molto ampio, influenzato dai rapporti (ad esempio Pallino e Omar hanno delle tensioni che Pallino e Laura non hanno e questo condiziona l’espressività) e dal carattere dellɜ duɜ protagonistɜ (di fatto Pallino è reginə dell’evitamento, Pallina è unə tank).
Molto meno frequenti sono le scelte che hanno delle conseguenze, che creano dei bivi narrativi. Anche qui di base l’effetto principale è comunque espressivo (“Sono una Pallina che prova a non cacciarsi nei guai e va con le bimbe, o che si caccia nei casini e va coi bimbi?”) ma la narrazione cambia tragitto fino alla conclusione di quell’atto (o in un caso, aprendo direttamente un altro finale).
C’è un terzo tipo di scelta narrativa che scelta non è, che sono i tasti con una sola voce di testo.
Se ricordiamo bene, è un elemento che abbiamo introdotto dopo aver visto una talk di Cassie Phillipps dove tra le varie cose si parlava del problema dell’attention span nei videogiochi, e come di base bastino tre nanosecondi di non azione sulla tastiera per annoiare lə giocatricə e farle spegnere il gioco.
Non è una soluzione particolarmente brillante, di fatto è un “vai avanti” nel gioco con un po’ di senso di espressività. Anche per questo abbiamo spinto il testo per far sì che l’agency di Pallinə/giocatricə fosse espressa di frequente, per far in modo che chi gioca possa continuare a sentirsi parte dell’azione mentre compie quell’unica scelta.
Bullet inferno
Le parole sono proiettili. Ti feriscono, e anche se non ti uccidono lasciano cicatrici e dolori che non se ne andranno mai più. È stato inevitabile pensare ai bullet hell e renderli la meccanica principale.
Colpi a volte isolati, a volte a valanga, che arrivano da ogni parte e in ogni momento. Che vengono dal modo in cui il mondo ti legge e da come legge sé stesso.
È stato necessario decidere come utilizzarlo al meglio per le nostre esigenze e come declinarlo.
La prima intuizione è stata di presentare la meccanica dei bullet durante tutto il testo per rendere chiaro che cosa sono questi proiettili e cosa rappresentano, ma anche per tenere una costante tensione, proprio com’è costante la pressione sociale di riconoscerti in un genere o nell’altro.
Una aggiunta a cui abbiamo pensato troppo tardi è stata di strutturare i testi in modo che la quantità di parole-proiettile andasse in crescendo man mano che ci si avvicinava ai punti di rottura della fine degli atti. È qualcosa a cui abbiamo pensato solo dopo che buona parte del gioco e dei testi erano pronti, e questo ci insegna una lezione per la prossima volta: più prototipi, quanto più spesso è possibile!
I bullet hell veri e propri, quelli che si allargano su tutto lo schermo, sono diventati quindi per noi i momenti di rottura, quelli dove Pallinə non può più tenere duro e deve affrontare il peso accumulato fino a quel momento. Abbiamo deciso di tematizzare i bullet hell portando dei pattern che ricordassero figure dell’atto appena giocato. Ci siamo riuscitɜ? Spesso purtroppo no, e anche qua avere avuto più tempo, testing (nonché una persona con migliori abilità grafiche delle nostre!) avrebbe aiutato.
Non da tutto si guarisce
Dicevamo che cicatrici e dolori rimangono. Per questo Pallinə diventa sempre più trasparente man mano che viene colpitə, e non recupera colore lungo i tre atti. A livello metaforico questo racconta anche come sia sempre meno presente nella sua identità, e per quel che riguarda il gameplay volevamo aumentare la difficoltà mano mano che le cose vanno male, proprio perché più veniamo colpitɜ dalle parole che ci feriscono, più ci diventa difficile andare avanti. Le parole laterali rafforzano il messaggio: quello che ci viene detto rimane, ci costringe su una strada sempre più stretta e soffocante che non ci vuol far vedere oltre, un muro di mattoni che blocca la luce, che ci spinge solo ad andare avanti.
Standard ribaltati
Ma.
Sin dall’inizio della creazione del gioco, tuttɜ e tre eravamo d’accordo che le narrazioni drammatiche sulla comunità queer in generale e trans in particolare ci ha rotto le scatole.
non-binary doveva essere un gioco di ribellione e sollievo, di conforto. Il finale doveva essere positivo e comunitario (perché da questo schifo non ce ne veniamo fuori da solɜ), rimarcare le cose belle dell’esperienza non cis, come l’euforia di genere. È per questo che, qualunque cosa succeda nel gioco, alla fine Pallinə incontra supporto da chi ha vicino, vede finalmente sé stessə, e si trova in una strada dove non è più solə, ma circondatə da tante altre colorate figure di ogni genere e forma. Vede finalmente il mondo e sé come tridimensionale, colorato, e le figure sono potenzialmente infinite, rispetto a un inizio bidimensionale con colori e forme fisse. Come il mondo che ha visto appena natə, prima che le parole non lə chiudessero gli occhi.
Spesso nei giochi siamo chiamatɜ a descrivere il nostro personaggio all’inizio, tanto nelle sue origini che nel suo aspetto. Ma questa non è la storia che moltɜ di noi vivono: ci vengono assegnati percorsi che non abbiamo scelto, non sappiamo mai cosa ci aspetta o cosa saremo tra un anno o un mese o un giorno.
Spesso scopriamo di essere qualcosa di completamente nuovo a causa della strana e inconsueta strada che abbiamo percorso, non come risultato di un piano fatto a tavolino all’inizio del gioco. Illuminante è questa talk di Avery Alder, una delle più grandi game designer in ambito di giochi di ruolo. Ci ha aiutatɜ a ricordarci che il nostro tempo e il nostro percorso non è quello dell’eroe classico da RPG, perché il tempo e la vita queer sono cose diverse, non lineari, non programmabili. A volte iniziano davvero molto dopo aver premuto il tasto avvio. Spostare qualcosa di così iniziale come la configurazione dellə tuə personaggiə a fine gioco è stata così una cosa naturale.
Tutti i finali parlano di riconoscimento. C’è uno specchio, una vetrina, qualcosa che permette finalmente a Pallinə di vedersi. Citando Junot Diaz: “Si dice che i mostri non abbiano riflesso. Ma io ho sempre pensato che non sia così. La realtà è che, se si vuole trasformare un essere umano in un mostro, bisogna negargli, a livello culturale, qualsiasi riflesso di sé stesso.”
Paws up.
Owof.